DELL’OTTUSA
INCOMPETENZA DELLA BUROCRAZIA
Questa volta
approfitto dello spazio che A.A.V.S. utilizza per divulgare i propri punti di
vista per esporre un caso personale.
No, non sono stato
preso da una improvvisa smania di protagonismo; penso soltanto che il caso che
mi accingo ad esporre sia un tipico esempio di come, stupidamente, la
burocrazia che impera nel nostro Paese opera per rendere inutilmente
difficoltose (quando non del tutto impossibili) quelle operazioni che, in altri
Paesi, vengono svolte rapidamente ed efficacemente.
Ma veniamo ai fatti
(e ai relativi commenti).
Parecchi anni fa mi
sono recato in aereo in Inghilterra e, dopo aver acquistato da un commerciante
una macchina costruita nel 1934, ho preso la strada di casa con in tasca i
documenti inglesi e la fattura saldata. Naturalmente la macchina sfoggiava la
stessa targa con la quale era stata registrata appunto nel 1934. 
Come tutti i veri
appassionati sanno, la targa originale è uno dei “plus” per il proprietario
della macchina e anch’io (che appassionato autentico mi considero) ho
cominciato a pensare alla possibilità di conservare la targa d’origine.
Con l’appartenenza
all’Unione Europea sono venuti a cadere eventuali ostacoli di carattere
doganale o tributario (IVA) e speravo quindi che non sarebbe stato impossibile
ottenere una modifica al Codice della Strada che consentisse l’immatricolazione
in Italia mantenendo la targa estera.
A questo punto è
necessario sospendere il racconto del fatto personale per evidenziare due
elementi presenti nella legislazione italiana che sono alla base di tutti i
disagi e le incongruenze cui vanno incontro i proprietari di veicoli di
interesse storico.
Entrambi questi
elementi si trovano nel testo base e cioè nel Codice della Strada e nel
relativo Regolamento di Attuazione.
Nel CdS (Art. 60)
non esiste una definizione diretta
di veicolo di interesse storico in funzione delle sue caratteristiche
intrinseche (età, stato di conservazione, utilizzo ecc.) ma questo viene
definito tale solo se risulta iscritto nei registri di 5 enti privati che esercitano la funzione di identificazione in base
a criteri soggettivi.
Il secondo elemento
assolutamente negativo si riscontra nell’Art. 215 del Regolamento di
Attuazione, laddove l’età minima per ottenere la qualifica di “veicolo di
interesse storico” viene stabilita in venti
anni.
E’ evidente che la
stragrande maggioranza dei veicoli di venti anni sono semplicemente dei veicoli
“vecchi”, che non presentano alcun interesse storico, ma è altrettanto evidente
che la “libertà d’azione” che il CdS attribuisce ai cinque Registri ha fatto sì
che l’attestazione di storicità venga rilasciata con larghezza e
indiscriminatamente.
L’Associazione
Amatori Veicoli Storici, avendo previsto con largo anticipo le conseguenze
negative che l’estensione dei benefici ai veicoli ventennali avrebbe portato al
movimento dei veicoli di autentico interesse storico,
principalmente per quanto concerne la loro circolazione e la copertura
assicurativa, fin dal 2001 ha studiato e promosso la presentazione di un
Disegno di Legge che apportasse delle modifiche al CdS per allinearlo alla
legislazione degli altri Paesi dell’area europea e mettesse ordine nella
legislazione italiana relativa ai veicoli di interesse storico.
E’ doveroso inoltre ricordare
che tutti i DdL che si sono succeduti da allora e noti con i nomi dei loro
presentatori (Magnalbò, Filippi, Berselli ecc.) traggono origine (con
successive modifiche peggiorative)
dallo studio effettuato da A.A.V.S. nell’ormai lontano 2000.
Per motivi che non
andiamo ad elencare, ma facilmente intuibili, tutti questi DdL, che
semplificavano e razionalizzavano, sono stati insabbiati in attesa della
scadenza delle rispettive Legislature in cui erano stati presentati.
Nel frattempo era
stato costituito presso la Direzione Generale per la Motorizzazione del
Ministero dei Trasporti un gruppo di studio di cui facevano parte, oltre ai
funzionari della Motorizzazione, anche i rappresentanti dei Registri elencati
nell’Art. 60 del Cds.
I lavori si sono
protratti per alcuni anni ed hanno avuto come risultato la pubblicazione del
Decreto Ministeriale 17 dicembre 2009 (meglio conosciuto come “Decreto
Matteoli”).
L’emanazione di tale
Decreto è stata salutata con soddisfazione da alcuni dei Registri che avevano
contribuito alla sua stesura ma ci si è accorti ben presto che tale
soddisfazione non era giustificata: i suoi contenuti erano talmente poco chiari
che hanno necessitato di ben due Circolari esplicative da parte della Direzione
Generale della Motorizzazione.
L’ultima, la Circolare
n. 79260 del 4 ottobre 2010, consiste di ben 16 pagine che dovrebbero chiarire
i contenuti degli articoli del Decreto (10 pagine) ed i relativi allegati
(altre 14 pagine).
L’esperienza ha purtroppo
dimostrato che l’applicazione del Decreto Matteoli e della Circolare 79260
rende praticamente impossibile
l’immatricolazione in Italia di veicoli costruiti prima del 1960 (a meno di non
volerne modificare radicalmente le apparecchiature di servizio) in quanto è
richiesta la presenza su tutti questi particolari (apparecchi di illuminazione,
avvisatori acustici, silenziatori e pneumatici) del marchio IGM, introdotto con legge del 1959, entrata in vigore
appunto nel 1960.
Casi concreti di applicazione di questa
norma aberrante sono stati dettagliatamente descritti sia sul mensile Auto
d’Epoca che su questo stesso sito: http://www.aavs.it/index.php?option=com_content&task=view&id=174&Itemid=78
Dopo queste tristi
esperienze sono cessate le esaltazioni da parte di chi aveva contribuito alla
stesura di questo provvedimento stupidamente dannoso, ci sono state vaghe promesse
di correzione degli “errori”, dopo di ché è calato il silenzio più totale.
Riprendo a questo
punto il racconto del caso personale.
Abbandonata, sia
pure molto a malincuore, dopo dodici anni di attesa e quattro Disegni di Legge
promossi da A.A.V.S., la speranza di poter immatricolare la mia macchina
conservando le targhe (che sono sulla macchina da ben 78 anni !) mi sono rassegnato all’idea di applicarvi una
di quelle orribili targhe che, utilizzate su un veicolo storico, ne deturpano
l’aspetto e cancellano alcuni decenni della sua storia.
Ma non dimentichiamo
il Decreto Matteoli e la Circolare 79260 ! Bisognava trovare il modo di non
essere costretto a sostituire fari, fanalini, impianto di scarico e avvisatore
acustico con quelli della Panda o della MiTo.
Ebbene, come tutti
(o quasi) gli acquirenti di veicoli provenienti dagli USA sanno, basta
immatricolare il veicolo in Germania e poi richiedere il cambio targhe in
Italia. Se il veicolo è in regola con la revisione in Germania, tutto avviene
senza difficoltà.
Ci sono alcune
agenzie in Italia che pubblicizzano sulla stampa di settore lo svolgimento di “pratiche
ad elevato tasso di difficoltà”; anche in questo campo però c’è chi opera con
serietà e chi meno.
Io, per parte mia,
mi sono rivolto ad un’agenzia con sede in Germania che, circa una volta al mese
– previo appuntamento - accompagna in alcune città del Centro-Nord un ingegnere
del TUV il quale, appoggiandosi a centri revisione veicoli locali, sottopone il
veicolo a regolare visita e prova.
Superato il
collaudo, l’agenzia provvede all’immatricolazione del veicolo in Germania e,
nel giro di veramente pochi giorni, invia a casa una regolare Carta di
Circolazione europea con revisione valida due anni e le relative targhe (con
validità di quindici giorni).
Sembrava facile ma
ecco, purtroppo, rientrare in azione l’ottusa burocrazia.
Il funzionario della
Motorizzazione di Trieste che, a fronte di regolari documenti tedeschi
attestanti la revisione del veicolo valida fino a ottobre 2014 avrebbe dovuto
rilasciare senza indugi documenti e targhe italiani, ha pensato bene di
richiedere i documenti originali (ovviamente trattenuti dall’Ufficio della
Motorizzazione tedesco) e la fattura di vendita (risalente al 1995 !) oltre ad
indagare sulla polizza assicurativa rilasciata a fronte di una targa straniera.
Tutte queste assurde richieste esulano totalmente dalla sua competenza perché –
a fronte di documenti tedeschi perfettamente regolari – era semplicemente
tenuto a rilasciare i relativi documenti italiani. Si tratta unicamente di scarsa conoscenza
della normativa unita alla volontà di esibire il suo “potere”: il tipico
atteggiamento del burocrate impreparato ed ottuso.
Al momento di pubblicare
questa nota non so ancora se e come si è risolta la questione ma questo non è
importante al fine di quanto volevo rendere pubblico. Il racconto dei fatti mi
serviva unicamente per dimostrare che quando il Legislatore, anziché tendere a
regolamentare con semplicità e chiarezza, si esercita nell’inventare inutili
complicazioni, il risultato che ottiene è del tutto negativo e
controproducente.
A meno che il suo
vero intento (peraltro non dichiarato) non sia quello di scoraggiare l’utilizzo
dei veicoli storici….
Alvise Orso
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